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(CAVALIERI MARVEL)

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IN CERCA DI AMY (III parte)

Di Carmelo Mobilia

 

Harlem. Oggi.

 

La parte più difficile del lavoro: andare da sua madre dirle quello che ho scoperto. Cristoforo Colombo, ma come fare uno a dire a una donna che la propria figlia acconsente a farsi sbattere davanti ad una telecamera per quattro fottuti soldi? Ufficialmente, non ho trovato nulla di illegale che possa incriminare quel verme di Quinto. Intraprendere la carriera di attrice hard non è illegale in questo paese, ed Amy è maggiorenne, quindi niente sfruttamento di minore. Io so che la farà prostituire, ho letto il fascicolo dell’F.B.I., ma non posso dimostrarlo. Anche l’accusa di spaccio di stupefacenti salta. Non ho visto tracce di droga, e anche a scuola non ho trovato nessuno che confermasse che la ragazza ne facesse uso. Tutto quello che c’era nello studio può far storcere il naso a qualche associazione femminista, ma non vi era nulla che infrangesse alcuna legge.

 

Parcheggiò proprio davanti alla casa della signora Gretchen. Prese un bel respiro e salì le scale che portavano all’appartamento al quarto piano. Non c’era ascensore ma a Luke la cosa andava più che bene, dato che gli dava la possibilità di prendere tempo per ripassarsi in mente il discorso da farle. Lo stabile era piuttosto trascurato: le pareti erano scrostate, la ringhiera arrugginita e il numero del piano era scritto sul muro con un pennarello. Su ogni pianerottolo c’era un bagno in comune che ormai non veniva più usato, ma ciò non gli impediva di puzzare. Non era il posto ideale per viverci. Arrivò all’appartamento e suonò alla porta. La signora Gretchen gli aprì la porta.

<Salve Mr Cage. Entri dentro, si accomodi.>

<Grazie signora.>

Contrariamente allo stabile, l’appartamento era pulito e in ordine. Un trilocale con cucina abitabile. Appese alle pareti, oltre alle foto di famiglia, vi erano diverse immagini religiose: crocefissi, dipinti della Madonna, una foto del Papa. Quella vista rendeva il compito di Luke ancora più difficile. Gli pareva di avvertire lo sguardo del Santo Padre dal quadretto.

<In salotto ci sono i miei figli che stanno facendo i compiti. Venga, mettiamoci in cucina, le faccio un caffè.>.

Si sedettero sulle sedie e arrivò il momento del tanto temuto faccia a faccia.

<Dunque, mi diceva per telefono che Amy sta bene, ringraziando il Signore. E dov’è adesso?>

Le fece un resoconto veloce di quanto aveva scoperto, evitando i dettagli più scabrosi. Cercò di raccontare la storia tutto in un fiato, evitando così di farsi interrompere con domande alle quali non voleva rispondere. Emily Gretchen era una donna forte, ma quanto venne a sapere era una stilettata nel petto. Luke cercò di consolarla, puntando l’attenzione sul fatto che la ragazza stesse bene, ma questo non servì ad alleviare il dolore della donna.

<Conosco la strada, signora. Non si disturbi ad accompagnarmi.> le disse, mentre si diresse verso la porta.

Uscì dal palazzo di pessimo umore. Era stato difficile come se l’era immaginato. Certo, ne aveva passate di ben peggio nella sua vita. Per esempio, aveva visto amici portati via dagli sbirri sotto gli occhi disperati delle loro madri, da ragazzo. , ma quando aveva accettato il caso si aspettava tutt’altro esito, e questo finale lo aveva lasciato con l’amaro in bocca.

Sulle note di “Foxy Lady” di Jimi Hendrix il suo cellulare cominciò a suonare, riportandolo alla realtà. Appena rispose alla chiamata, il suo umore passò da pessimo a furioso.

 

Times Square, ufficio di Luke Cage. Alcune ore prima.

 

Colleen aveva le chiavi dell’ufficio, Luke gliele aveva lasciate per i casi d’emergenza. Era venuta per scusarsi. Pensava ogni parola che aveva detto l’altro giorno allo studio televisivo, ma si rese conto di essere stata inopportuna, di averle dette nel momento sbagliato; Luke era molto arrabbiato e deluso, e non aveva bisogno di sentire le sue lamentele, non in quel momento. Non si era comportata da amica, ma come un’antipatica rompiscatole. Si sedette sul divano e iniziò a sfogliare le riviste di sport che Luke teneva in soggiorno, ma si annoiò subito. Andò allora guardare le foto appese al muro, quelle degli “Eroi in Vendita” di qualche anno fa.

<Certo che all’epoca Luke era davvero fissato con il look anni 70... il taglio afro, la fascetta sulla fronte, e quella camicia... certi giorni sembrano passati secoli, altri invece sembra ieri...> pensò, e la cosa la fece sorridere. Udì dei passi pesanti provenire dalle scale, e credette che Luke stesse per rincasare.

Si sbagliava.

Cercò di andargli incontro per aprirgli la porta, ma questa fu abbattuta da un violento calcio, prendendola in pieno viso e lasciandola stordita.

<Sto cercando Cage. Sei la sua squinzia?> Alto, grosso, vestito con un elegante completo nero, capelli a spazzola... Colleen lo riconobbe subito. Era Lapide, il sicario del Gufo.

<Che cosa vuoi da lui?> chiese la ragazza rialzandosi in piedi, barcollando.

<Non è chiaro? Il tuo amichetto ha pestato i piedi sbagliati stavolta. Sono qui per insegnargli a portare rispetto.>

Colleen rispose con un calcio al volto, ma risultò troppo lento, prevedibile, a causa del colpo ricevuto poco prima. Lapide le afferrò la caviglia.

<Sei una combattiva. Sarà più divertente.> 

Senza alcuno sforzo la scagliò con forza contro il muro; l’impatto con esso fece cadere molte delle foto appese, lasciando la ragazza ancora più frastornata e dolorante. Mentre cercava di tirarsi su fu colpita allo stomaco con un calcio, che le fece sputare sangue.

<Allora troietta... dov’è Cage?> domandò nuovamente.

Colleen era sul pavimento, piegata in due dal dolore. Era però l’orgoglio a farle maggiormente male: era una delle maggiori esperte in arti marziali, e il combattimento sarebbe di tutt’altro genere, se solo fosse stata pronta, ma Lapide l’aveva colta di sorpresa, e sembrava intenzionato ad approfittare fino in fondo di questo vantaggio: la sollevò da terra prendendola per i capelli.

<Non te lo ripeterò ancora... dov’è Cage?>

<Fo-fottiti!>

Lapide le diede uno schiaffo fortissimo, facendola sanguinare.

<Per l’ultima volta.... dov’è?>

Colleen gli sputò un rivolo di sangue in faccia. Lapide le diede un altro schiaffo, poi la colpì una terza volta col dorso della mano, facendole un occhio nero. Infine la lanciò nuovamente contro il muro, facendole sbattere la testa. Prima di uscire le disse:

<Digli che tornerò, e farà meglio a farsi trovare.>

 

Howard Stark Hospital. Adesso.

 

Luke parlava con uno dei paramedici che l’aveva soccorsa, mentre questi lo accompagnava alla stanza dov’era ricoverata Colleen.

<Ha subito un trauma cranico, la mascella slogata e diverse contusioni al volto. Fortunatamente però, nessun danno permanente.>

<Meno male. E’ cosciente?>

<Si, si è ripresa da qualche ora e ha chiesto della sua amica “Misty”.  Aveva il cellulare con sé e siamo riusciti a contattarla. Ecco, siamo arrivati.>

Entrò nella stanza, dove Colleen era sdraiata sul letto, col viso tumefatto. Sembrava la vittima di un incidente stradale. Al suo capezzale c’era Misty Knight,  seduta su di una sedia vicino al suo letto.

<Mi raccomando però, non la faccia sforzare troppo. Deve riposare.> disse il paramedico uscendo dalla camera.

<Colleen...>  disse premuroso, andandole incontro e tenendole la mano.

<L-Luke io... ero venuta per... chiederti scusa...> gli disse lei. Lui si sentì morire.

<Chi ti ha fatto questo?> le chiese lui, diretto.

<E’ stato Lapide> l’anticipò Misty <Era venuto per lì per la faccenda di Quinto.>

<Dov’è Danny?>

<A Parigi, a sistemare alcune faccende personali.> (1)

Misty non gli disse più nulla. L’idea di infiltrarsi era stata sua e sapeva benissimo i rischi che questo mestiere comportava, ma Luke non poteva fare a meno di sentirsi in colpa, di pensare che fosse a causa sua se la sua socia era finita in quel letto di ospedale.

<Lapide...> fu l’unica cosa che gli uscì dalla bocca. Il suo viso si deformò in un’espressione rabbiosa.

 

Da Josie’s, Hell’s Kitchen. Quella sera.

 

Il bar di Josie’s ne aveva vista, di azione. L’Uomo Ragno ma sopratutto Devil spesso venivano qui per avere informazioni e questo significava il più delle volte una rissa, i cui danni facevano lievitare inesorabilmente i costi dell’assicurazione. Ia proprietaria del bar dunque tremava ogni qualvolta un giustiziere varcava la soglia del suo locale. Luke sapeva che era impossibile arrivare direttamente a Lapide. Era la guardia del corpo del boss più potente della città, ora che il Gufo aveva preso il ruolo di Fisk come Kingpin della malavita newyorkese. Così sapeva che il modo più veloce di contattarlo era far circolare la voce nei bassifondi. Entrò da Josie’s e in molti lo riconobbero. La sua fama lo aveva preceduto, in molti avevano avuto a che fare con lui e ne conoscevano la forza. Inoltre, le voci della sua recente scaramuccia a Little Italy erano arrivate fin qui a Hell’s Kitchen.

<Sto cercando un verme che si fa chiamare Lapide. Non offendete la mia intelligenza fingendo di non sapere di chi sto parlando...>

<T-Ti prego Cage... non sfasciare nulla, bello... i costi del vetraio mi stanno svenando!> disse Josie indicando la vetrina.

<Non sono qui per rompere nulla... a patto che voi mi facciate un piccolo favore. Dite a Lapide che lo sto cercando> disse estraendo dalla tasca interna del giubbotto un bigliettino da visita e lanciandolo al  <Ditegli di chiamarmi. E ditegli che questa volta mi farò trovare...> disse quest’ultima frase rivolgendo uno sguardo a dir poco minaccioso ai clienti del bancone e ai tavolini.

<Ehi!> gridò un tipo in fondo alla sala <Ma chi cazzo sei tu, per venire qui a dare ordini e a minacciare?>

<Lenny, per l’amor di dio, sta zitto...> disse sottovoce un tizio seduto al suo stesso tavolo,

ma forse spinto dall’inibizione che solo l’alcool sa dare, Lenny continuava nel suo monologo:

<Allora è vero quello che si dice di voi newyorkesi... che ormai siete in balia di questa gente. Beh io non sono della Mela e non mi faccio intimidire da un mangia banane qualsiasi!>

Cage si mise a squadrarlo: lunghi capelli radi, sul biondo, baffi alla “Hulk Hogan”. Indossava una camicia di jeans smanicata, e sul retro aveva cucito la bandiera sudista. Aveva esposto le sue idee più che chiaramente.

<Così non sei di queste parti...> gli disse andando in sua direzione.

<No amico, sono dell’Alabama. Lì i Kunta Kinte come te li impiccavamo agli alberi, e non mi piace quel tono con cui hai parlato prima... da quando abbiamo una scimmia come lui alla casa bianca questo paese si sta ammosciando!> urlò in direzione degli altri clienti.

<Cribbio Cage ti prego... non contro la vetrata...> lo implorò il barista.

<Beh che cazzo vuoi? Pensi di spaventarmi eh? VAFFANCULO!> impugnò la bottiglia di bourbon e gliele ruppe in faccia: questa andò in pezzi senza che Luke non battè ciglio. Gli afferrò la mano e stringendogliela con vigore mandò in frantumi il collo della bottiglia, con le schegge di vetro che gli si conficcarono nel palmo della mano.

<AAAAAAAAAAH!!!!> Lenny emise un grido lancinante di dolore.

<Hai scelto il giorno sbagliato per le tue sparate da Ku Klux Klan... non ho nessuna intenzione di ingoiare la tua merda o quella di chiunque altro!> strinse ancora di più la mano ferita.

<AAAAAAAH ODDIO BASTA TI PREGO!!> Lo lasciò andare, e Lenny si accasciò sul pavimento tenendosi la mano sanguinante e piagnucolando per il dolore.

<Avete recepito il messaggio?> gridò furioso <Dite a Lapide quanto vi ho detto, o giuro che tornò qui a finire l’opera, chiaro?>

Nessuno usò contraddirlo. Luke uscì dal “Josie’s” e la sua proprietaria fece un grosso sospiro di sollievo nel vedere che, almeno per stasera, aveva salvato la vetrata.

 

Time’s Square, ufficio di Luke Cage. Tre giorni dopo.

 

Come caz&% è potuto succedere? Doveva essere un lavoretto di routine, cercare una ragazza scappata di casa e invece, in cosa vengo coinvolto? Mafiosi, poliziotti infiltrati, bodyguard potenziati, set pornografici... e a rimetterci è stata una delle mie più care amiche. Cristoforo Colombo, che voglia di spaccare tutto!! Vorrei che Danny fosse qui,... ma Misty dice che è a Parigi, e ne avrà per un po’. Mi manca. Lui saprebbe consigliarmi sul da farsi. Son passati tre giorni, ormai il messaggio sarà arrivato a Lapide... forse dovrei tornare da Josie’s e strapazzare qualche altro balordo. O magari chiedere aiuto a Devil; nessuno conosce Hell’s Kitchen come lui.  Forse lui sa suggerirmi un modo per avvicinarmi a Lapide e non appena lo avrò fra le mani io....

 

Squillò il telefono e Luke si precipitò a rispondere, sperando che fosse il suo uomo a chiamarlo. Le sue aspettative furono esaudite.

<Cage... ci inseguiamo senza riuscire a trovarci. Dobbiamo darci un appuntamento...>

<Puoi dirlo forte,  pezzo di merda. Io e te, uno contro uno, senza troppe stronzate.> disse adirato.

<Dove?>

<Allo sfasciacarrozze di “Mostro Joe”, (2) ad Harlem, alle diciotto di stasera. Non mancare.>

<Oh non mancherò. Non vedo l’ora...>

Luke sbatté la cornetta con rabbia.

 

Da “Mostro Joe”, quella sera.

 

Luke si presentò in anticipo. Sapeva che Lapide non era un avversario convenzionale, era uno dei pochi in grado di tenergli testa, dunque sapeva che per batterlo doveva dar fondo a tutte le proprie forze. Lo sfasciacarrozze di “Mostro Joe” era il posto ideale dove potersi lasciare andare senza doversi preoccupare dei danni collaterali. Lapide non tardò ad arrivare: indossava stivali, pantaloni di pelle e una camicia nera che contrastavano la sua carnagione albina.

<Hai scelto un bel posticino, Cage....> 

<Ho pensato che fosse l’ideale per un liberarsi di un rifiuto come te.> 

<Non è come al solito.... ti sei messo a giocare con i ragazzi grandi, stavolta, non con i pesci piccoli a cui sei abituato. Al mio capo non piacciono i ficcanaso.... e mi ha mandato qui affinchè ti impartissi una lezione.>

<Risparmiami le tue stronzate. Lo sai che effetto mi fanno le tue minacce?> così dicendo si levò il giubbotto, gli corse incontro e gli mollò un destro in faccia, sfogando giorni e giorni di rabbia e frustrazione.

<Più o meno questo!>

Lapide incassò senza andare al tappeto e restituì il colpo. I due erano diametralmente opposti nell’aspetto, ma estremamente simili nelle capacità: entrambi fortissimi e altrettanto coriacei. Si scambiarono colpi proibiti, di una violenza inaudita.

<Lo sai, quando mi hanno detto che avrei dovuto occuparmi di te ho provato un brivido di piacere... era da tempo che avevo voglia di spaccarti quella tua faccia da cazzo.>  disse mentre lo colpiva col dorso del pugno e causandogli una ferita che gli fece sputare sangue.

<Ah si? Non l’avrei mai detto... pensavo che tu fossi uno di quei vigliacchi buoni solo a prendersela con donne distese sul pavimento, sanguinanti!> gli rispose alludendo a Coleen. Luke raccolse la portiera di una macchina fracassata e con quella prese a colpire Lapide.

<Non è la stessa cosa quando reagiscono eh Lonnie? E’ diverso quando i colpi non sei solo tu a darli, vero?>  Lapide venne scagliato contro un vecchio modello di maggiolone della Volkswaggen; furioso per i colpi ricevuti, sollevò lo stesso e lo lanciò su Cage, che non potè evitare di venire colpito. Spostò la carcassa dell’auto e si rialzò barcollando e dolorante. Lapide lo aveva aggirato e gli spuntò alle spalle; prima lo colpì alla nuca e poi, dopo che cadde in ginocchio, gli strinse il collo:

<Non spaventarti se senti un “krack” Cage... sarà questione di un attimo...> Luke cercava di liberarsi ma la sua presa era una morsa. Non riusciva a liberarsi e iniziò a agitare la mano destra con disperazione, finchè con questa non raggiunse i genitali di Lapide e glieli strizzò: il dolore allucinante gli fece mollare la presa e lo fece piegare in due. Entrambi erano a terra, senza fiato. Luke si riprese per primo e cominciò a prenderlo a pugni: era come colpire un muro di mattoni, ma più lo colpiva e più gli veniva voglia di farlo.

Lo colpì al petto con una pedata che lo fece finire su di un cumulo di rottami. In mezzo a tutte quelle lamiere Lapide trovò una mazza da fabbro e non appena Luke gli fu a tiro lo colpì con quella alla testa.

<Avanti, ragazzone, su... o forse non ti piace il baseball? Anche Micheal Jordan c’ha giocato, non lo sapevi? >

Quell’enorme martello invertì le sorti dello scontro: adesso era l’albino ad avere la meglio.

<Vedi ragazzo...finchè fai il bulletto con gli stronzetti come te è un conto, ma quando pesti i piedi a gente arrivata, coi contatti giusti beh.... questo è quello che ti succede!>

Lo colpì alla schiena con una tale forza da fargli emettere un urlo di dolore.

<Si bravo, urla.... su, fallo ancora. Ho aspettato tanto questo momento, fammelo godere! >

Mentre Cage cadeva in avanti per il dolore, Lapide gli piazzò un colpo sotto il mento che lo fece letteralmente schizzare in aria.

<Home Run!> gridò sarcastico.

Luke cadde in terra, dove perse i sensi per i colpi subiti. Lapide lo trascinò verso una pressa e vi lanciò il corpo.

<Addio Cage. Mi sono divertito...> schiacciò il pulsante d’accensione.

Luke si riprese in tempo e non appena le pareti metalliche si strinsero su di lui ricorse a tutta la sua forza per uscirne.

La pressa idraulica finì in pezzi e Luke uscì coperto di grasso e olio motore ma illeso.

<Mmmmm... impressionante....> osservò Lapide, che si stava allontanando. Cage prese il pneumatico di un camion e glielo lanciò con tutta la sua forza: l’improvvisato proiettile colse di sorpresa il sicario albino, che cadde per terra, travolto dal colpo. Luke gli fu immediatamente addosso, piazzandogli un ginocchio sul petto e tempestandolo di pugni.

<Allora pezzo di merda, non ha niente da dire adesso, eh? Niente più stronzate sul baseball, adesso?>

Destro, sinistro, destro una valanga di pugni fece perdere i sensi e alcuni denti a Lapide. Qualche secondo dopo anche Luke lo seguì tra le braccia di Morfeo: i colpi ricevuti e lo sforzo di uscire da quell’enorme pressa lo avevano duramente provato.

Si risvegliò alcune ore più tardi, con la testa di svariate taglie più grandi, il sapore metallico del sangue che gli ristagnava in bocca. Di Lapide non c’era alcuna traccia. Uno dei suoi era senz’altro venuto a raccattarselo. Seppur uscito vincitore dalla disputa, Luke si senti in qualche modo amareggiato, deluso. Si rialzò, malfermo sulle gambe e si diresse verso l’uscita.

 

Qualche giorno dopo, in un ristorante cinese di Chinatown.

 

Danny Rand e Luke Cage pranzavano insieme dopo tanto tempo. Sembravano passati anni dall’ultima volta, anche se in realtà non accadeva da mesi.

<Allora dimmi... com’è andata a Parigi?> chiese Luke.

<Me la sono vista brutta... ma me la sono cavata. Ti dirò, mi sei mancato.>

<Sì, anche tu. Hai visto Colleen?>

<Sì, è messa male ma ho parlato con i dottori: si rimetterà completamente, hanno detto.>

<Per fortuna...> rispose sospirando.

<Luke... non è stata colpa tua. Nessuno ti accusa.>

<Non posso fare a meno di sentirmi colpevole. L’unica cosa che ho ricavato da questa storia è un’amica in ospedale. Non ho riportato la figlia a quella donna, non sono riuscito a incastrare Quinto e non sono riuscito a mettere Lapide dietro le sbarre.>

<Luke, ci conosciamo da anni e ne abbiamo viste tante... abbiamo messo al fresco papponi, stupratori, pedofili... cos’è che ti ha sconvolto tanto in questa storia?>

<E’ che credevo nella sua innocenza, che fosse una ragazza confusa ma onesta... e invece c’ho fatto la figura del fesso. Sissignore, proprio una figura da idiota. Ho sbagliato tutto in questo caso, tutto. Non ne ho azzeccata una. La verità è che sto invecchiando...>

<Ah, maddai... è naturale sentirsi così il giorno del proprio compleanno. Non sei più un primo pelo, d’accordo, ma da qui a definirti “vecchio” ce ne vuole...>

< Ma che ne so... ai miei tempi ne ho vista di merda, ma speravo che le cose fossero cambiate... e invece, ci sono ancora ragazze che sono pronte a vedersi per qualche centone.>

<Quant’amarezza eh?>

<Puoi dirlo forte, amico...>

<Dai, finisci di strafogarti quei gamberetti in agrodolce. Voglio portarti in un posto.>

 

Qualche minuto dopo Danny lo portò con sé nel parcheggio sotterraneo del palazzo della Rand-Meachum Corp.

<Perché siamo venuti qua? Che volevi mostrami?>

<Questa. Ti piace?>

Gli indicò un modello di Ford Gran Torino rossa con una striscia bianca ai lati, identica a quella del telefilm “Starsky & Hutch”.

<Cacchio, è favolosa! Corpo vettura Coupé, cerchi in lega Western, sospensioni anteriori a ruote indipendenti, molle elicoidali, carburatore doppio corpo Motorcraft. E’ una vera meraviglia! Devi farmela provare, bello!>

<Uh, non credo...>

<Eddai Danny! Che ti costa? Non puoi negarmi questo favore, ti prego!>

<Non mi hai capito... sei tu che devi farmela provare. La macchina è tua!> e gli lanciò il mazzo di chiavi.

<Buon compleanno, Luke.>

<Danny, è... non ho parole. Ti adoro fratello!> lo abbracciò forte.

<Grazie.>

 

La Ford scalcia come un cavallo, ed è una sensazione meravigliosa. Ne sentivo il bisogno.

Quando sei nel giro da tanto tempo quanto me impari che non sempre si riesce a vincere e che talvolta i cattivi la fanno franca. La cosa mi riempie di amarezza e non riesco a farci l’abitudine, ma non devo lasciarmi scoraggiare. Devo rialzarmi e a tornare a combattere. Non posso mollare e dargliela vinta. Mi chiamo Luke Cage, aiuto la povera gente e tengo le strade pulite dai balordi. E’ tutto quel che dovete sapere su di me.

 

Fine.

 

 

Le Note

 

E siamo alla fine di questo speciale. Mi sono molto divertito nello scrivere di Luke, e spero che sia piaciuto anche a voi. L’ho caratterizzato facendo di lui un appassionato degli anni 70, spiegando così il suo look originale (infatti Luke Cage è stato inventato in quel periodo e il suo abbigliamento si rifaceva alla moda del momento). Per questo sul muro dell’ufficio c’è una foto di Mohammed Alì, la suoneria del suo cellulare è una canzone di Jimi Hendrix e ha una passione per l’auto di “Starsky & HutchJ

 

1= il racconto si svolge in contemporanea con i n. 48 e 49 della serie Marvel Knights, in cui Pugno d’Acciaio si trova a Parigi.

 

2=Il nome dello sfasciacarrozze di Mostro Joe l’ho preso dal film Pulp Fiction. Inoltre, la lotta al suo interno è un mio simpatico omaggio al film Superman III, quando l’Uomo d’Acciaio lotta contro se stesso a causa della kriptonite rossa. Mi sembrava una location adatta per lo scontro tra due uomini indistruttibili.

 

Carmelo Mobilia.